Per il superamento del 41bis e dell’ergastolo ostativo

Lettera aperta di Ricercatrici e Ricercatori di Scienze Sociali

Secondo i dati dell’ultimo rapporto sulle condizioni di detenzione di Antigone, le persone al 41bis in Italia sono 749, di cui 13 donne, distribuite in 12 istituti penitenziari. Il regime di 41bis emerge in seguito alle legislazioni speciali a cavallo delle stragi mafiose tra gli anni Ottanta e Novanta, sull’onda emotiva dell’epoca e come risposta della magistratura orientata a combattere una guerra contro la criminalità organizzata. 

A distanza di quarant’anni, come cittadini e cittadine ancor prima che come ricercatori e ricercatrici di scienze sociali, ci sembra opportuno non solo aprire un dibattito più ampio e maggiormente trasversale sugli effetti del carcere duro, ma anche interrogarsi più in generale sul senso concreto di strumenti giuridici come il 41bis, l’ergastolo e i regimi speciali nell’attuale fase storica.

Rimasto per anni una misura emergenziale, solo agli inizi del 2000 il regime di 41bis è diventato cardine del sistema a tempo indeterminato, sebbene nel 2009 sia stato associato ad alcuni rischi di incostituzionalità data l’incoerenza con il principio rieducativo della pena. Basti ricordare gli interventi della Corte Costituzionale nel 2018-2020-2022 sull’illegittimità di alcune pratiche come il divieto di corrispondenza con gli avvocati, l’impossibilità di cucinare in cella e quella di scambiare cibi durante la socialità; o la sentenza Viola in cui la Corte Europea si è espressa sull’ostatività dichiarandola inumana e degradante. Una misura di eccezione permanente quindi, elaborata in un determinato periodo storico, che persiste all’interno dell’ordinamento senza tenere conto dell’evoluzione della società italiana e delle organizzazioni criminali nel tempo.

Il carattere vessatorio di questo regime carcerario non si concretizza soltanto nella durezza della pena, ma rimanda anche all’annientamento del nemico e a un trattamento speciale che sospende le garanzie dello Stato di diritto. Il diritto penale è invece la negazione dell’idea che vi sia un “nemico”, perché è lo strumento mediante il quale i rapporti di convivenza passano dallo stato selvaggio allo stato civile, e ciascuno è riconosciuto come persona. La pena, in questo senso, è la negazione della vendetta, mentre la pena del 41bis si configura proprio come una forma di vendetta e di violenza, in cui violenza e diritto coincidono, e non come, non più, non solo uno strumento giuridico di lotta alla criminalità organizzata. Il principio di annichilimento del detenuto speciale inoltre non riguarda solo i mafiosi, e coinvolge anche detenuti in attesa del giudizio definitivo. Tra le condizioni previste da questo istituto vi sono: isolamento, limitazioni all’ora d’aria, sorveglianza continua, perquisizione personale, limitazione o eliminazione dei colloqui con i familiari, controllo della posta, limitazione di oggetti in cella come penne, quaderni, libri. Un progressivo annientamento del corpo e dello spirito che provoca danni incalcolabili ai detenuti. 

Se orientiamo il nostro sguardo, ci sembra lecito allora domandarsi quale sia il nesso tra violenza e giustizia, tra vendetta e diritto. Le forme più dure della carcerazione speciale travalicano i confini previsti dalla norma, puntando al pentimento coercitivo. Si tratta di uno strumento preventivo che mira a isolare la persona dal resto dell’organizzazione criminale, ma visto il livello di compressione sproporzionata dei diritti, è evidente che eccede il suo scopo dichiarato. Come si legge nell’ultimo rapporto di Antigone, un regime detentivo che si definisce “duro” evoca l’idea di un sistema intransigente che mira a “far crollare” (anche sul piano psicofisico) chi vi viene sottoposto, puntando in forma latente alla delazione, cioè alla collaborazione con la giustizia. Sottoporre una persona a violenza per arrivare a una sua confessione o allo scopo di estorcere informazioni significa tortura, e da quest’ottica ci pare, ad esempio, assurdo che una persona possa restare incastrata nel regime di 41bis solo perché non abbia informazioni da proporre come merce di scambio. A tal proposito, è indispensabile condurre ricerche rigorose sugli effetti reali e concreti di certe scelte politiche che si discostano dalle aspettative e ne disattendono le giustificazioni.

A noi sembra che la distinzione tra violenza e diritto debba essere confermata. Laddove un sistema di diritto coincide con la violenza o con la tortura non è ammissibile parlare di diritto o di giustizia, e ogni giustificazione viene meno. A tal riguardo, riteniamo che la battaglia che Alfredo Cospito sta portando avanti riguardi chiunque, perché mostra le contraddizioni storiche in questo paese nel rapporto tra stato di diritto ed esercizio della violenza. Non è un caso infatti che la sua lotta – condotta insieme ad altri detenuti – stia avendo la forza di aprire riflessioni su questi temi oltre che di sollecitare denunce contro l’accanimento dello Stato nei suoi confronti. Dal 20 ottobre Cospito, detenuto in 41bis nel carcere di Sassari, ha rinunciato ad alimentarsi, utilizzando il proprio corpo come unica arma possibile per protestare contro il regime di detenzione speciale e contro l’istituto dell’ergastolo ostativo. La determinazione a condurre questa battaglia fino in fondo non è connessa soltanto alla sua vicenda processuale, che pur lascia molto perplessi. Il suo è uno sciopero contro il regime di 41bis e l’ergastolo al di là della sua condizione in particolare. 

Un gruppo promotore formato da circa ottanta giuristi, docenti universitari e sacerdoti ha diffuso un appello che esorta l’amministrazione penitenziaria, il ministro della giustizia e il governo a “uscire dall’indifferenza”, intervenendo per interrompere la detenzione di Cospito al 41bis e quindi il suo sciopero della fame. Di recente è nata la piattaforma nazionale “Morire di pena”. Con questa lettera aperta portiamo la nostra solidarietà a questa battaglia di civiltà, ed esprimiamo disponibilità a partecipare a percorsi di sensibilizzazione verso la società civile e l’opinione pubblica per il superamento di due istituti inumani come il 41bis e l’ergastolo. 

SOTTOSCRIVI LA LETTERA APERTA

https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSeSTIPcQQigPbe6IXd73PBzGvj1EwlUzsaIqTgP pTnJ7WIXeQ/viewform?usp=sf_link

LISTA DEI PRIMI FIRMATARI 

Francesca Vianello, professoressa, Università di Padova 

Elton Kalica, ricercatore, Università di Padova 

Alvise Sbraccia, professore, Università di Bologna 

Giulia Fabini, ricercatrice, Università di Bologna 

Andrea Bottalico, ricercatore, Università di Napoli “Federico II” 

Domenico Perrotta, professore, Università di Bergamo 

Luca Guzzetti, ricercatore, Università di Genova 

Enrico Gargiulo, professore, Università di Bologna 

Rossella Selmini, professoressa, Università di Bologna

Valeria Ferraris, professoressa, Università di Torino 

Rosalba Altopiedi, ricercatrice, Università di Torino 

Susanna Vezzadini, professoressa, Università di Bologna 

Michele Miravalle, ricercatore, Università di Torino 

Giovanni Torrente, professore, Università di Torino 

Daniela Ronco, ricercatrice, Università di Torino 

Daniela Danna, ricercatrice, Università del Salento

Pietro Saitta, professore, Università di Messina

Devi Sacchetto, professore, Università di Padova 

Daniele Giglioli, professore, Università di Trento 

Annalisa Murgia, professoressa, Università di Milano 

Anna Simone, ricercatrice, Università di Roma tre 

Tiziana Terranova, professoressa, Università di Napoli “L’Orientale” 

Giovanni Semi, professore, Università di Torino 

Alberta Giorgi, ricercatrice, Università di Bergamo 

Emanuele Leonardi, ricercatore, Università di Bologna 

Chiara Paglialonga, Università di Padova 

Noemi Martorano, Università di Padova 

Stefano Gallo, primo ricercatore, CNR Ismed 

Charlie Barnao, professore, Università di Catanzaro 

Stefano Boni, professore, Università La Sapienza

Gabriella Petti, professoressa, Università di Genova 

Osvaldo Costantini, ricercatore, Università La Sapienza 

Annalisa Frisina, professoressa, Università di Padova 

Arianna Tassinari, ricercatrice, Università di Bologna 

Luca Queirolo Palmas, professore, Università di Genova 

Vincenza Pellegrino, professoressa, Università di Parma 

Valeria Verdolini, ricercatrice, Università di Milano Bicocca 

Fabio de Nardis, professore, Università di Foggia e del Salento 

Stefania Consigliere, ricercatrice, Università di Genova 

Dario Tuorto, professore, Università di Bologna 

Giuseppe Mosconi, professore, Università di Padova

Caterina Peroni, ricercatore, Università di Padova

Riccardo Girolimetto, PhD Student Fisppa, Università di Padova

Tommaso Sarti, PhD Student Fisppa, Università di Padova

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